venerdì 16 ottobre 2015

16

Era sabato, cinque mesi fa, il 16 maggio. La pneumologa aveva dato appuntamento a mio padre immediatamente, dopo aver parlato con il nostro medico curante che le aveva letto il risultato della tac al telefono. Solo loro due erano consapevoli della gravità della situazione, io no, e neppure i miei genitori, anche se era apparsa seria fin da subito. Volevo esserci anche io a quella visita, anche mia madre era d'accordo, babbo invece quando mi ha visto vestita e pronta a salire in macchina ha avuto un momento di nervosismo: «Che ci vieni a fare anche tu? Io non capisco perché la gente...», poi ha farfugliato qualcosa che non ricordo. In un altro frangente gli avrei risposto a tono, avrei insistito, invece ho capito subito la sua paura, e la mia presenza l'avrebbe solo aumentata, così ho silenziosamente risalito le scale e mi sono cambiata per passare l'aspirapolvere, come in un sabato qualunque. Circa quaranta minuti dopo il mio cellulare ha squillato, non ho riconosciuto il numero, il +39 non aveva fatto comparire il nome "babbo" sul display, quindi ho risposto «Pronto» in maniera generica. «Sono papi...mi perdoni? Lo perdoni a babbo per prima, sai...». «Ma sì, certo, figurati, non ti preoccupare!» Dall'altra parte lui si era emozionato e non riusciva a parlare, ho sentito solo mamma dirgli: «Ti ha risposto, dille qualcosa», ma non c'era bisogno, l'ho salutato dicendo «Ci vediamo presto» e abbiamo riattaccato. Avevo il sorriso sulle labbra e la tenerezza che mi invadeva il cuore, volevo solo che tornassero a casa il prima possibile. La dottoressa gli disse che avrebbe dovuto fare la chemio, ma che soprattutto il lunedì si sarebbe dovuto ricoverare per sottoporsi all'ago aspirato e agli altri esami necessari a capire la natura del tumore (che io, ignorante, ancora speravo potesse essere benigno) e quanto si fosse diffuso (non avevo ancora letto il referto della tac, anche questo lo avrei fatto dopo, dove si parlava già chiaramente di "lesioni" alla quarta costola e al surrene). Mamma poi mi ha confidato che, tornando a casa, in macchina avevano parlato e lui sembrava tranquillo - sembrava - ed era soprattutto determinato a curarsi, il suo rimpianto era quello di aver perso due mesi, perché da marzo aveva cominciato a trattare quella che si pensava fosse una polmonite. Non ricordo cosa ho fatto nel pomeriggio, la sera invece sono venuti a cena a casa nostra gli amici più cari dei miei genitori, e anche io sono rimasta a casa, abbiamo mangiato la pizza, e babbo era seduto di fronte a me. Per dolce c'erano i tartufi al cioccolato e al caffé, io e mamma ne abbiamo mangiato uno e mezzo ciascuna, e come al solito babbo ci ha rimproverato la nostra golosità: «Ne ammazza più la gola che la spada», diceva sempre... se anche lui avesse avuto meno autocontrollo e disciplina, si sarebbe tolto qualche sfizio in più, non sarebbe stato quello a ucciderlo... 
Quella cena è stata l'ultima volta che abbiamo mangiato insieme, al tavolo della nostra cucina.

2 commenti:

  1. Tesoro, che dirti..sai che questa esperienza l' ho vissusta anch'io, molto piu'giovane di te, il tempo aiuta questo si, pero' fa male come il primo giorno, sempre. Ti abbraccio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non mi ricordavo, sai, che anche tu fossi "nel club" da diversi anni...penso che il tempo aiuti a smorzare alcune cose ma ne acuisca altre...ho ricominciato a scrivere qui praticamente in segreto perché ne ho sentito il bisogno in relazione alla storia di questi cinque mesi. Ti abbraccio anche io!

      Elimina